Nel mondo del consumo, esiste un fenomeno che riguarda da vicino tutte le donne, spesso senza che se ne rendano conto. Si tratta della cosiddetta “tassa rosa” (in inglese, pink tax). Questo termine si riferisce al sovrapprezzo che le donne pagano su una vasta gamma di prodotti e servizi rispetto agli uomini. Tale fenomeno, che può sembrare quasi surreale, è il risultato di strategie di marketing ben precise e di stereotipi di genere radicati nella società. Ma cos’è esattamente la tassa rosa, e come il marketing gioca un ruolo cruciale in questo contesto?
Cos’è la tassa rosa?
La tassa rosa non è una tassa ufficiale imposta dal governo, ma piuttosto un termine che indica la differenza di prezzo tra prodotti destinati alle donne e prodotti simili destinati agli uomini. Questa differenza di prezzo può riguardare articoli di uso quotidiano, come rasoi, deodoranti, vestiti, profumi ma anche servizi personali come la semplice parrucchiera.
Secondo diversi studi, i prodotti commercializzati specificamente per le donne tendono a costare di più rispetto ai loro equivalenti maschili. Questo nonostante non ci siano differenze significative nella qualità o nella funzione. Questa disparità di prezzo è stata documentata in numerosi paesi, e l’impatto finanziario sulle donne può accumularsi nel tempo. Contribuendo così a una disuguaglianza economica più ampia.
Già nel dicembre del 2015, il Dipartimento degli Affari dei Consumatori (DCA) di New York City ha condotto uno studio sulla differenza di prezzo tra varie categorie di prodotti. I risultati sono stati sorprendenti: nel mercato dei giocattoli, ad esempio, le bambine pagavano il 7% in più rispetto ai bambini per giochi simili. Per quanto riguarda i prodotti di igiene personale, le donne pagavano il 13% in più rispetto agli uomini. L’anno precedente, in Francia, il Ministro per le Pari Opportunità Pascale Boistard ha sostenuto il collettivo Georgette Sand e la loro campagna “Woman Tax”, che documenta ancora oggi come il mondo rosa costi di più.
Un esempio emblematico è stato il caso del brand Monoprix, accusato dal Ministro via Twitter di vendere una confezione di rasoi a un prezzo quasi raddoppiato solo perché destinata alle donne. La confezione rosa da cinque rasoi costava 1,80 euro, mentre quella blu da dieci pezzi si aggirava sui 1,72 euro, nonostante i rasoi fossero identici.
Anche in Italia, il fenomeno della tassa rosa è ben documentato. Nel 2019, Idealo, un portale internazionale di comparazione dei prezzi, ha analizzato la fluttuazione dei prezzi per prodotti destinati alle donne e agli uomini. Questo studio ha evidenziato una forte diffusione della tassa rosa. Tuttavia, è emerso anche un altro aspetto: la cosiddetta “Blue Tax”, che interessa alcune categorie di prodotti destinati prevalentemente agli uomini.
Come il marketing influenza la tassa rosa?
Il marketing ha un ruolo fondamentale nel perpetuare la tassa rosa. Le aziende sanno che il mercato femminile è vasto e che le donne sono spesso disposte a spendere di più per prodotti che percepiscono come migliori o più adatti a loro. Di conseguenza, molti prodotti sono progettati e confezionati specificamente per le donne, utilizzando colori, forme e fragranze che si pensa possano attrarre il pubblico femminile.
Un esempio classico è quello dei rasoi. I rasoi per donne spesso hanno colori vivaci come il rosa o il viola, un design più elegante, e vengono commercializzati come “delicati sulla pelle”. Tuttavia, a livello funzionale, questi rasoi non offrono significativi vantaggi rispetto ai rasoi maschili, che costano generalmente meno. Questa pratica si estende a molti altri prodotti, dai giocattoli per bambini agli articoli per la cura della persona.
Inoltre, il marketing tende a segmentare i mercati in base al genere, creando così la percezione che certi prodotti siano “necessari” per le donne e altri per gli uomini. Questo tipo di segmentazione rafforza gli stereotipi di genere e permette alle aziende di applicare prezzi più alti su prodotti che vengono percepiti come specializzati o su misura per le esigenze femminili.
Come sottolinea Marcella Corsi, professoressa di economia all’Università La Sapienza di Roma: “La discriminazione nasce dallo stereotipo culturale di una donna con molto tempo libero che impiega nello spendere i soldi che non guadagna. Una figura lontana dalla realtà e risalente agli anni ’50”. Questo stereotipo, seppur datato, continua a influenzare le dinamiche di prezzo, penalizzando economicamente le donne in modo ingiustificato.
Le conseguenze economiche e sociali
La tassa rosa non solo rappresenta un’ingiustizia economica, ma ha anche implicazioni sociali più ampie. Questa pratica contribuisce a mantenere e rafforzare le disuguaglianze di genere, poiché le donne, nel corso della loro vita, finiscono per spendere di più per prodotti essenziali rispetto agli uomini. In un mondo in cui le donne già affrontano il divario salariale rispetto ai loro colleghi maschi, la tassa rosa aggiunge un ulteriore ostacolo finanziario.
Inoltre, la segmentazione di mercato basata sul genere può limitare le scelte dei consumatori, vincolandoli a prodotti e servizi che non riflettono necessariamente le loro reali esigenze o preferenze. Questo fenomeno può anche perpetuare stereotipi dannosi, legando determinate caratteristiche e qualità a specifici generi.
Come contrastare la tassa rosa?
Essere consapevoli della tassa rosa è il primo passo per contrastarla. Le consumatrici possono iniziare confrontando i prezzi tra prodotti maschili e femminili e, dove possibile, optare per la versione maschile se offre un miglior rapporto qualità-prezzo. Anche le campagne di sensibilizzazione e le pressioni sui produttori possono contribuire a ridurre questa disparità.
Numerose associazioni di categoria al femminile sono impegnate in prima linea in questa battaglia, insegnando che la lotta per la parità di genere non è basata sulla superiorità delle donne, ma sul diritto di avere le stesse opportunità degli uomini. Tra le più note, troviamo Axthepinktax, Freeda, Hella! Network, Non una di meno e Women for Independence.
Inoltre, diverse associazioni si concentrano sulla sensibilizzazione riguardo al tema delle mestruazioni, un argomento spesso trattato come un tabù. The Female Company, un’organizzazione tedesca, ha lavorato per eliminare questo stigma. L’azienda ha venduto prodotti ecologici in un packaging divertente devolvendo i ricavi a sostegno delle donne economicamente svantaggiate. Un esempio significativo delle loro iniziative è stato The Tampon Book, creato per protestare contro la tassazione al 19% dei prodotti di igiene femminile in Germania, considerati beni di lusso, a differenza dei libri tassati al 7%.
Alcuni governi e organizzazioni stanno già prendendo provvedimenti per affrontare la tassa rosa. Ad esempio, in alcuni stati degli USA, sono state introdotte leggi per vietare la discriminazione di prezzo basata sul genere. A livello individuale, i consumatori possono fare la differenza esprimendo le proprie preoccupazioni e preferenze direttamente alle aziende.
La tassa rosa è un esempio concreto di come il marketing e la percezione sociale possano influenzare le dinamiche economiche tra i generi. Comprendere questo fenomeno e agire di conseguenza è fondamentale per promuovere l’equità economica e per rompere gli stereotipi di genere che pervadono il mercato. Le donne, così come gli uomini, meritano di pagare il giusto prezzo per i prodotti e i servizi che acquistano, senza essere penalizzate da pratiche di marketing che sfruttano le loro esigenze e preferenze.